L’INCONSCIO TECNOLOGICO – COME LA TECNOLOGIA INTERAGISCE CON LA NOSTRA PSICHE
Umberto Galimberti, filosofo contemporaneo, ha ipotizzato l’esistenza nella struttura della psiche di un nuovo tipo di inconscio, che ha chiamato inconscio tecnologico.
Come ben sappiamo, l’inconscio contiene il rimosso, ovvero l’insieme di tutte le sensazioni, i desideri, le emozioni, gli istinti, gli eventi e i traumi che i nostri meccanismi di difesa occultano alla coscienza, per permetterci di vivere con maggiore tranquillità e armonia.
Ci troviamo senza dubbio in un’era tecnologica, in un momento storico in cui la tecnologia ha assunto una grande importanza, non solo come mezzo per facilitare la vita quotidiana, ma come vero e proprio contenitore di emozioni. I computer, i cellulari, i tablet, hanno rimpiazzato il diario segreto, e a essi affidiamo la nostra storia e il nostro sentito emotivo. Il lucchetto d’alluminio di molti vecchi diari, è stato sostituito dalle password. Pensiamo alla differenza: se qualcuno forzava il lucchetto per leggere il diario a nostra insaputa, ce ne accorgevamo sicuramente (a meno che non ci avesse rubato la chiave!), ma se ora qualcuno si impadronisce delle nostre password, sarà difficile accorgersi che ci ha letto tutte le mail!
Attraverso i computer ci raccontiamo, ci presentiamo, comunichiamo.
I computer non hanno emozioni, ma le contengono, le custodiscono. I profili dei social network raccontano storie, passano in rassegna ogni momento saliente della vita: una promozione inattesa, un lavoro appena cominciato, una relazione importante iniziata o finita, le vacanze, i figli, gli interessi artistici, sociali, politici e molto altro.
Sui social network, e ancora di più in chat, abbiamo la possibilità di farci conoscere per come siamo davvero, e a volte lo facciamo persino con maggiore onestà rispetto alle relazioni reali, ma spesso ci presentiamo per come vorremmo essere, e costruiamo una personalità alternativa, che fa sempre parte di noi, ma esiste solo nella rete. Diventiamo quindi più belli, più giovani, più interessanti. Qualcuno addirittura crea un personaggio fittizio e decide se essere uomo o donna, italiano o straniero, giovane o vecchio. A volte qualcosa va storto per i motivi più disparati – problemi tecnici o qualcuno che ci scopre o ruba il nostro profilo – e siamo costretti ad abbandonare quell’identità. Questo ci fa sentire come se perdessimo un pezzo di noi, una parte diventata importante a dismisura, un canale preferenziale di espressione che dovrà per forza spegnersi, perdere quelle caratteristiche, in attesa che ne nasca un altro.
I computer sono efficienti. Sanno fare calcoli che noi non sappiamo fare, e hanno potenzialità di sviluppo ancora tutte da scoprire. I computer ci parlano, a loro possiamo dare istruzioni vocali e chiedere di eseguire le più svariate operazioni. Ci parla anche il navigatore, e con voce calma e accomodante ci permette di trovare la strada (a volte neanche la più breve!) per giungere alle nostre destinazioni. Ci guida, evitando di farci perdere.
I computer, in qualche modo, sono una rappresentazione della natura. Riflettiamo su come funziona il cervello, sulla capacità che abbiamo di richiamare alla mente ricordi passati, ammassati in tante cartelle chiuse che non apriamo tutti i giorni, ma solo quando uno stimolo ci spinge a farlo, quando vediamo un’immagine o sentiamo un gusto che ci richiama un ricordo specifico. I computer, sempre più elaborati e con elevate prestazioni, sono una rappresentazione meccanica del nostro cervello.
E internet? Possiamo individuarne i confini? Possiamo asserire con certezza dove finisca e dove cominci? E’ un universo di informazioni e storie di ogni genere e tipo. Basterà cercare e ci darà le risposte. Siamo riusciti a creare un universo tutto nostro, una sterminata dimensione telematica che, esattamente come l’Universo che conosciamo, sembra non avere limiti.
Qual è il mio rapporto con la tecnologia? Che cosa rappresenta la tecnologia per me? In che modo mi è utile? In che modo mi danneggia? Come interagisce con la mia vita quotidiana?
Possiamo provare a osservare il concetto di tecnologia senza un giudizio, positivo o negativo che sia, ma ricordandoci che l’espressione delle emozioni è prerogativa dell’essere umano, non delle macchine.
Il nostro patrimonio emotivo è un bene da preservare e ascoltare.
A volte il paragone, anche inconscio, con le macchine può far scaturire emozioni di svalutazione. La stessa inabilità a gestire la tecnologia può scatenare in noi la sensazione di non farcela, di non essere all’altezza, di non essere bravi come tutti gli altri. Osserviamo queste emozioni ricordandoci che, in quanto esseri umani, abbiamo bisogno di tempo e pazienza per imparare a stare bene, per guarire, per rimetterci in sesto e per superare le paure e le ansie della vita di tutti i giorni. Non basta avvitare meglio un bullone o aggiungere un cavo elettrico.
Non saremo mai veloci nel calcolo o in altre attività quanto lo è un computer, ma potremo sempre sentire. Questa è la nostra risorsa. Se anche il sentire crea problemi o sembra inadeguato, cerchiamo comunque di ascoltare le emozioni per quello che sono: una parte di noi. Magari, se le osserviamo bene, potremo diventare consapevoli che sono parte di quelle emozioni tecnologiche, nate da un paragone inconscio con un computer. E a quel punto, facciamoci pure una risata e diciamoci “Meno male che non sono una macchina!”
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